Il susseguirsi di notizie cui assistiamo ormai da giorni ci sta per certi versi riportando a pensieri, sentimenti ed emozioni già vissuti qualche mese fa, precisamente a marzo, quando a tutti noi è stato chiesto di “rimanere a casa”. Come sappiamo questo ha comportato la sospensione per molti di noi delle attività lavorative, per altri la conversione delle stesse in modalità cosiddette “a distanza”, permettendoci di non muoverci per raggiungere luoghi di lavoro o clienti.
Non tutti hanno trovato facile adattarsi a questa situazione e per molti tutto ciò ha comportato un aumento di sintomatologie ansioso-depressive e in alcuni casi anche ad una sorta di “psicosi”/scompensi psichici, dovuto all’improvvisa mancanza di movimenti, gesti, persone facenti parte di uno schema di vita consolidato da anni. La sofferenza psichica in questi casi non è quantificabile ed è fondamentale che la persona che sta vivendo tale dimensione venga “vista”, aiutata, non certo giudicata, ma sorretta e nei casi estremi accompagnata nella ricerca di un aiuto presso un professionista della salute mentale qualificato. Sono felice di sapere che molti di noi psicologi e psicoterapeuti hanno dato la loro disponibilità a lavorare a distanza (on-line, come si dice nel gergo ormai diventato comune) permettendo così di mantenere un contatto che in questi casi ha una funzione vitale.
Credo sia fondamentale che ognuno di noi si prenda cura di se stesso e degli altri quando essi non riescono a farlo. A questo proposito amo sempre ricordare la “regola della mascherina sugli aerei”. Chi di voi ha effettuato un viaggio in aereo e ha avuto la pazienza di ascoltare e guardare le istruzioni di sicurezza mostrate dagli assistenti di volo, ricorderà il passaggio in cui si raccomanda, in caso di depressurizzazione della cabina (e quindi di mancanza di ossigeno) a porre prima sulla propria bocca la suddetta mascherina, e in seguito di aiutare coloro che sono in difficoltà e che ci sono accanto. La mancanza di ossigeno infatti, tra le altre cose, può provocare confusione, perdita di coscienza, ridotta forza muscolare. Se dunque mettiamo prima la mascherina, supponiamo al nostro bambino che è seduto affianco a noi, potremmo rischiare di perdere conoscenza e che il bambino si ritrovi solo a non sapere come comportarsi!
É fondamentale dunque che ognuno di noi, specialmente in situazioni di preoccupazione riguardo al proprio stato di salute psico-fisica, si renda responsabile e compia atti consapevoli volti a mantenerci sani, attivi, vigili ma non ossessivi!
Sull’onda di queste riflessioni condivido volentieri con voi la mia esperienza di cura verso me stessa e che suggerisco ai miei pazienti.
Stamattina, dopo la mia pratica di yoga, ho dedicato tempo alla respirazione facendo un esercizio di Pranayama. Da qui sono sorte alcune considerazioni che credo potrebbero essere utili anche a voi..
Innanzitutto, per chi non pratica yoga e non sa cosa sia il Pranayama, spiego brevemente di cosa si tratta.
Il termine Pranayama deriva dal Sanscrito ed è composto da due parti: Prana e Ayama. Forse molti di noi hanno già sentito il termine Prana associato a significati che riconducono a “respiro”, “vita” o “spirito” o ancora “energia”. Ayama invece indica il movimento dell' espansione, o dell'”estendersi”. Pertanto potremmo considerare il Pranayama una tecnica di respirazione che si concentra in particolar modo sull'espansione del respiro.
Si tratta di una modalità molto potente in grado di calmare la mente e di indurre uno stato di tranquillità e se praticata con costanza può aiutare negli stati di ansia.
É una delle basi su cui si fonda lo yoga.
Ebbene questa mattina l'esercizio praticato consisteva in espirare, trattenere ed espirare. Il rapporto utilizzato era di 5-2-7: si conta fino a 5, si trattiene per 2 e si espira per 7. Di solito è utile portare la concentrazione su una parte del corpo. In questo caso mi sono concentrata sulla parte dell'ombelico perchè stavo lavorando su Samana Vayu, ovvero su una parte del corpo situata tra l'ombelico e il diaframma (sede dell'intestino tenue). “Essa controlla e attiva gli organi digestivi e le loro secrezioni ed è responsabile della digestione e dell'assimilazione. Questa zona si trova tra le due forze opposte di Prana e Apana e perciò, in un certo modo, agisce come equilibratore o equalizzatore per queste forze” (vedi https://lunadinverno.it/prana_vayu/).
Sonia Bigatti (ideatrice di “Scimmia dello Yoga”, https://www.lascimmiayoga.com/) suggeriva in questo esercizio di immaginare che nell'inspirazione prendessimo tutta l'energia dall'ombelico, nel trattenerla di sentire come essa andava in tutto il corpo, consolidandosi, assorbendosi e nell'espirazione di provare la forza di questa energia, nel suo utilizzo, nella sua funzione di attivante.
Vi propongo di fare una meditazione con questo esercizio di Pranayama pensando ad esempio alla funzione del cibo come elemento energetico e vitale. Ormai da tempo il cibo sembra aver perso la sua elementare funzione di nutrimento, per assumere quella di “sfogo”, di compensazione, di compagno, di consolazione, di strumento di comando, di ossessione, di autolesionismo. Il cibo non è nulla di tutto questo. Sono le nostre proiezioni ad avere gettato su di esso queste terribili ombre, complice un sistema di pubblicizzazione e strumentalizzazione da parte di media e non solo (di questo parlo diffusamente nel mio ultimo libro “Legami con il cibo”, ed. Aldenia).
La buona notizia è che possiamo riprenderci un sano rapporto con il cibo, richiamando a noi quelle ombre e cominciando a chiedere a noi stessi se possiamo trovare altri modi per “sfogarci”, per dire le cose che riteniamo o che altri possono ritenere scomode, per consolarci, per affrontare insomma ansie, paure, rabbia.
E per fare questo è necessario fermarsi. Sì f e r m a r s i.
Sedetevi un attimo con voi stessi, non abbiate paura del silenzio. Lo potete fare anche mettendo una musica di sottofondo se proprio il silenzio vi può dare fastidio all'inizio. Lo scopo è comprendere che ci si può fermare, che si può stare in contatto con noi stessi, che possiamo sentire il respiro, che possiamo renderci conto che abbiamo un corpo, che ci sono dei confini, che c'è una profonda connessione tra il nostro essere fisico e ciò che facciamo, ciò che pensiamo, come agiamo, mangiamo, parliamo, respiriamo ed interagiamo con gli altri.
Quando farete quest'esercizio di Pranayama con Samana Vayu, vi propongo di lavorare in questo modo:
Vi suggerisco di praticare questo esercizio ogni giorno, bastano pochi minuti al mattino prima di iniziare la vostra giornata. Vi porterà, vedrete parecchi vantaggi: vi aiuterà a calmare la mente prima del turbinio dei vari impegni quotidiani, e apporterà delle modifiche nel modo in cui vi approccerete al cibo.
Namaste e buona pratica!
Dott.ssa Anna Scelzo
Psicologa Psicoterapeuta a Chiavari
Psicologa Psicoterapeuta a Chiavari
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